Spunti operativi nella complessa ricerca di tutele per il soggetto segnalato

LAB4THOUGHTS

Nella pubblicazione di questa settimana abbiamo trattato il tema del whistleblowing approfondendolo sotto una specifica prospettiva: è possibile trovare un punto di equilibrio tra i vari interessi in gioco garantendo forme di tutela anche al soggetto segnalato? Noi riteniamo che sia necessario e, a tal fine, abbiamo evidenziato alcuni spunti operativi per i ComplianceProfessional.

Conosciamo bene l’attualità della tematica del cd. whistleblowing, vuoi per le novità cui dovranno adeguarsi le società in termini ad es. di canali di segnalazione; vuoi per la possibile procedura di infrazione cui potrebbe essere destinataria l’Italia per il mancato tempestivo recepimento della Direttiva UE 2019/1937; vuoi per l’intreccio di normative che già oggi, in attesa del recepimento, regolamentano il settore (D.Lgs. 231/2001, GDPR, Legge 179/2017, ecc.); vuoi ancora per l’ampiezza che avrà la tematica (non più limitata alla corruzione o agli ulteriori reati presupposto 231); vuoi infine per la riluttanza delle persone a usare lo strumento e, pertanto, per la necessaria tutela da garantire loro in termini di divieto di ritorsione e garanzia di anonimato.

Oggi però affrontiamo il tema del whistleblowing sotto una diversa prospettiva, in quanto c’è un attore protagonista (a volte inconsapevole e innocente) su cui merita fare delle riflessioni: il soggetto segnalato.

Finora, giustamente, si è pensato ad estendere la portata del fenomeno whistleblowing come strumento a tutela delle aziende, prevedendo canali sempre più ampi per formalizzare una segnalazione (cartacea, orale, via form online o email, ecc.), estendendo il novero di soggetti autorizzati a segnalare (non solo dipendenti ma anche collaboratori o fornitori esterni all’azienda), garantendo appunto forte tutela e protezione per il segnalante (divieto di ritorsione, obblighi di riservatezza, ecc.) e ammettendo anche la possibilità di formalizzare segnalazioni anonime.

Tutto questo purtroppo ha un inevitabile downside: allargare le maglie ed estendere tutele e protezioni per il segnalante portano inevitabilmente maggiore esposizione per il segnalato, oltre all’inevitabile rischio di un uso improprio, strumentale o inopportuno del sistema whistleblowing. Insomma, la coperta è corta ed è davvero complesso trovare il giusto equilibrio nella concreta implementazione del sistema all’interno delle aziende.

Già dalla lettura di alcuni passaggi della Direttiva UE si comprende come si tenda a focalizzarsi sulle tutele per il segnalante: “per beneficiare della protezione (…), le persone segnalanti dovrebbero avere ragionevoli motivi, alla luce delle circostanze e delle informazioni di cui dispongono al momento della segnalazione, che i fatti che segnalano sono veri. Tale requisito è una garanzia essenziale contro le segnalazioni dolose e futili o infondate (…) e assicura che la persona segnalante continui a beneficiare della protezione laddove abbia effettuato una segnalazione imprecisa in buona fede”.

Dunque in caso di “ragionevoli motivi” che i fatti segnalati siano veri, o se viene fatta una “segnalazione imprecisa in buona fede” il segnalante gode (giustamente) della protezione, e questo anche nel caso di infondatezza della segnalazione. Ecco in tale ultimo caso il rischio è di lasciare sprovvisto di tutele, invece, il segnalato: questo in ragione del fatto che i “ragionevoli motivi” o le “imprecisioni in buona fede” non potranno che essere verificate a istruttoria conclusa ma, prima di allora, possono essersi verificate gravi lesioni della reputazione e professionalità del segnalato poi risultato innocente.

Immaginiamo il caso di Tizio che creda di aver ravvisato, in buona fede, un’attività illecita a carico del collega Caio, lo abbia segnalato ma, dalle verifiche condotte da Sempronio anche tramite intervista a Mevio, emerga invece la totale liceità della condotta: è giusto tutelare Tizio ma a maggior ragione anche Caio, che da lì in poi rischia di essere accompagnato da una forma di retropensiero/pregiudizio da parte sia di Sempronio (che ha condotto le verifiche) che di Mevio (interrogato sulla ricostruzione dei fatti), e il più delle volte questo avviene a totale insaputa di Caio stesso.

Prendiamo poi il caso di una segnalazione calunniosa e/o fatta in malafede: in tale evenienza, deve essere salvaguardato il diritto di difesa della persona segnalata, rendendogli nota sia l’identità del segnalante che l’oggetto delle asserite accuse. Questo “correttivo”, tuttavia, è caratterizzato da due limiti intrinsechi:

  1. non può che attivarsi solo quando sono state verificate l’infondatezza della segnalazione e/o la malafede del segnalante, ossia a valle delle necessarie analisi interne. Quindi anche questo strumento è azionabile solo ex post quando ormai un pregiudizio nel contesto lavorativo potrebbe già essersi concretizzato per il segnalato, ben potendo le analisi interne essersi concretizzate – come abbiamo visto per il caso di Caio – in interviste a colleghi/superiori o altre verifiche idonee a compromettere la riservatezza sull’identità soggetto segnalato.
  2. la segnalazione potrebbe essere stata presentata in forma anonima, il che potrebbe pregiudicare a monte una difesa da parte del segnalato/calunniato.

Appare evidente a questo punto come sia necessario strutturare e formalizzare nella procedura aziendale in materia di whistleblowing un rigoroso processo interno di gestione della segnalazione e di verifica della sua fondatezza che garantisca la ricerca della verità assieme alla protezione non solo del segnalante ma ugualmente del segnalato che, in fin dei conti, deve essere innocente fino a prova contraria. Sull’ovvio presupposto che debba essere sempre garantito il massimo grado di riservatezza e confidenzialità nell’arco dell’intero processo di verifica, abbiamo identificato una serie di spunti operativi da prendere in considerazione:

  • la conoscenza dei contenuti della segnalazione e la gestione della relativa istruttoria dovrebbero essere affidati a determinate funzioni aziendali, prediligendo quelle che maggiormente possono garantire autonomia e indipendenza: Internal Audit e/o Compliance, ovvero ancora un OdV composto da tali funzioni interne e/o da componenti esterni;
  • qualora la segnalazione fosse ricevuta non dalle funzioni competenti (ad es. da HR, dal capo del segnalato, dal capo del segnalante ecc.), dovrebbe essere previsto un divieto di svolgere analisi e un obbligo di inoltrare immediatamente la segnalazione alle funzioni competenti per l’istruttoria;
  • ove sia prevista un’informativa periodica sullo stato delle verifiche verso Team multifunzionali (all’interno dei quali sono presenti altre funzioni come ad es. HR, Finance etc.), potrebbe essere opportuno, all’interno dei documenti condivisi fin dalla ricezione della segnalazione e fino all’esito dell’istruttoria, anonimizzare/omissare riferimenti al nome e cognome del soggetto segnalato. Tale precauzione andrebbe utilizzata anche all’atto di riportare gli esiti delle verifiche, qualora la segnalazione si fosse dimostrata infondata;
  • soprattutto in caso di segnalazione anonima – fermo restando che l’anonimato deve essere comunque considerato come un atto di “coraggio” a segnalare e non necessariamente di “mala fede” – ove possibile si dovrebbe ulteriormente rafforzare l’esigenza di riservatezza ad es. prediligendo analisi documentali, sui dati presenti a sistema o comunque da remoto;
  • in caso di segnalazione “firmata”, come primo passaggio verificare direttamente con il segnalante tutte le circostanze rilevanti per una corretta ricostruzione dei fatti, anche al fine di riscontrare quei “ragionevoli motivi” che i fatti segnalati siano veri o le “segnalazioni imprecise in buona fede” di cui parla la Direttiva;

 

Come anticipato, non è semplice riuscire a trovare un punto di equilibrio tra le varie esigenze e riservare garanzie anche al soggetto che, in alcuni casi, potrebbe diventare vittima (inconsapevole) del sistema.

Il dibattito è aperto, gli spunti non mancano e ci farebbe piacere ricevere feedback e opinioni di tutti.

Paolo Marpillero

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