Nuove Regole Antitrust sugli Accordi Verticali: quali impatti per i brand del lusso?

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Nella nuova pubblicazione di lab4compliance, analizziamo le novità introdotte dalla Commissione Europea con le versioni “2.0” del Regolamento di esenzione per categoria relativo agli accordi verticali (noto come “VBER”) e dei relativi Orientamenti, che entreranno in vigore il 1° giugno. In particolare, ci siamo soffermati sugli impatti delle proposte di revisione per i luxury brands, suddividendole tra “aspetti positivi” e “aree di insoddisfazione/punti di attenzione”.

Il prossimo 1° giugno entreranno in vigore le nuove versioni del Regolamento di esenzione per categoria relativo agli accordi verticali (noto come VBER – “Vertical Block Exemption Regulation”) e degli Orientamenti sulle Restrizioni Verticali (di seguito, “Orientamenti”).

Le proposte di revisione della Commissione Europea rispondono all’obiettivo di adattare la disciplina degli accordi verticali (ovvero quelli conclusi tra imprese che operano a livelli diversi della catena commerciale, quali produttori-fornitori di beni/servizi e i loro distributori), agli sviluppi del mercato, con un focus sull’e-commerce e sulle vendite online, nonché di semplificare alcune disposizioni, riducendo i costi di compliance per le imprese.

Ma i luxury brands, che riponevano grandi aspettative nel progetto di revisione al fine di poter esercitare un maggiore controllo sulle rispettive catene del valore, saranno soddisfatti delle novità?

Proviamo a dare una risposta approfondendo insieme le modifiche introdotte dalla Commissione, che abbiamo già suddiviso tra “aspetti positivi” e “aree di insoddisfazione/punti di attenzione”, anche nell’ottica di una review del compliance program antitrust aziendale.

Aspetti positivi:

1) Approccio più permissivo verso il dual pricing e “disconoscimento” del principio di equivalenza: Ai sensi delle attuali regole, stabilire prezzi all’ingrosso diversi a seconda che i beni in questione vengano rivenduti online o in un negozio fisico è vietato. Secondo i nuovi Orientamenti, invece, applicare ad un distributore “ibrido” un prezzo all’ingrosso diverso per i prodotti destinati ad essere venduti online rispetto a quelli destinati alla rivendita offline può essere consentito, nella misura in cui la differenza di prezzo sia il frutto della scelta di incentivare o premiare gli investimenti effettuati dal distributore nei rispettivi canali di vendita.

Quanto al principio di equivalenza, invece, nell’ambito dei sistemi di distribuzione selettiva, non è più richiesto che i criteri imposti dai fornitori in relazione alle vendite online siano “complessivamente equivalenti” ai criteri imposti ai negozi fisici, dal momento che i due canali vengono ora ritenuti intrinsecamente diversi. Sarà così consentito, ad esempio, imporre requisiti specifici per garantire determinati standard qualitativi per gli utenti che acquistano online (come, ad esempio, uno sportello di assistenza post-vendita online).

2) Modelli di distribuzione selettiva più protetti e più flessibili: Le nuove proposte della Commissione riconoscono ai fornitori: (i) più ampi poteri nel far rispettare i propri sistemi di distribuzione selettiva, impedendo qualsiasi vendita da parte di distributori non autorizzati nel territorio identificato; (ii) una maggiore flessibilità nella definizione dei criteri alla base della selettiva, ad esempio limitando il luogo di stabilimento di un distributore autorizzato (c.d. “clausola dell’ubicazione”).

3) Espressamente riconosciuta la libertà di limitare le rivendite sui mercati online e margine più ampio per monitorare i prezzi applicati dai rivenditori: Seguendo la scia tracciata dalla Corte di Giustizia dell’UE nel caso Coty, le proposte di revisione “ratificano” la libertà dei fornitori, a prescindere dal sistema di distribuzione utilizzato, di poter: (i) vietare o limitare ai propri distributori autorizzati di rivendere tali prodotti sui mercati online (tra i quali, i marketplaces come Amazon), nonché di (ii) definire degli standard qualitativi nell’ambito delle vendite online.

I nuovi Orientamenti stabiliscono inoltre che l’impiego di strumenti, anche automatizzati, di controllo sui prezzi applicati dai rivenditori non costituisce, di per sé, una pratica vietata; bensì aumenta la trasparenza sul mercato.

Tali previsioni rappresentano un importante step forward per i marchi di lusso, ai quali vengono riconosciute misure più solide per tutelare i propri prodotti dal rischio di contraffazione, presidiarne la distribuzione e salvaguardare così la propria brand image & reputation.

4) Possibilità di un’esclusività “condivisa” tra partner retail selezionati: Il progetto di revisione del VBER introduce la possibilità per un fornitore di designare più di un distributore esclusivo in un determinato territorio o per un determinato gruppo di clienti, con il limite, tuttavia, che il numero di distributori designati sia determinato in proporzione al territorio o al gruppo di clienti assegnati, così da garantire un certo volume di attività che ne preservi gli sforzi di investimento.

Aree di insoddisfazione e punti di attenzione:

1) La fissazione del prezzo di rivendita (Resale Price Maintenance  – “RPM”) rimane una restrizione fondamentale della concorrenza: Nonostante le proposte di alcuni luxury brands, che, in particolare, facevano leva sulla possibile compatibilità con il diritto antitrust delle pratiche di RPM quando applicate a prodotti stagionali o al lancio di nuovi prodotti, il progetto di revisione continua a classificare l’imposizione di prezzi di rivendita come una c.d. hardcore restriction, sebbene tale pratica sia consentita in altre giurisdizioni, come gli Stati Uniti.

2) Approccio più stringente verso la “dual distribution”: Gli accordi verticali in un sistema di duplice distribuzione, in cui un fornitore vende i propri prodotti/servizi sia attraverso distributori indipendenti, sia direttamente ai clienti finali (trovandosi pertanto in concorrenza con i propri distributori nella vendita retail), sono generalmente ammessi dall’attuale versione del VBER. Con la nuova proposta, la Commissione, tenendo conto della crescita esponenziale di questi scenari per via del boom delle vendite online – anche – a causa dell’impatto del Covid-19, ha limitato i casi in cui per questi accordi trova applicazione l’esenzione del VBER, allo scopo di evitare casi di dual distribution che possano suscitare preoccupazioni a livello orizzontale.

Ciò rende inevitabilmente più complessa la situazione di tutti quei fornitori, tra cui numerosi luxury brands, che – operando sia B2B che B2C – saranno tenuti a garantire la presenza di barriere informative efficaci con i propri distributori autorizzati, così da assicurare che i dati e le informazioni che ricevono dai propri partner retail non influenzino indebitamente le proprie operazioni di vendita diretta al consumatore.

3) Espressamente vietate ulteriori tipologie di restrizioni sulla pubblicità online: Le nuove proposte stabiliscono che vietare ai rivenditori di utilizzare specifici canali pubblicitari online, quali siti di comparazione dei prezzi o l’acquisto di pubblicità sui motori di ricerca, costituisce una condotta illecita. Tali fattispecie, il cui obiettivo è spesso quello di pubblicizzare il prezzo più basso, sembrano pertanto destinate a continuare a destare preoccupazione ai brand del lusso, aumentando la visibilità dei rivenditori non autorizzati con un effetto negativo sugli stessi consumatori, non sempre in grado di distinguere i prodotti autentici da quelli contraffatti.

***

Provando a fare un bilancio, le novità introdotte dalla Commissione, seppur con qualche area grigia, sembrano collocarsi più al passo con i tempi e allargare i confini di legittimità antitrust di alcune pratiche verticali. E voi che operate nel lusso, vi ritenete soddisfatti del progetto di revisione? E quali impatti vedete per i programmi interni di compliance antitrust?

Luca Campitelli

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